Il divieto di concorrenza degli amministratori ai sensi dell’art. 2390 c.c.

15 Giugno 2023

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14226 del 23 maggio 2023 ha stabilito che, per incorrere in violazione del divieto di concorrenza ai sensi dell’art. 2390 c.c., l’amministratore deve esercitare, per conto proprio o di terzi, un’attività concorrenziale che consti di un complesso di atti coordinati ed unificati sul piano funzionale, non essendo sufficiente ad integrare tale fattispecie il compimento di un solo atto di concorrenza.

La vicenda

La vicenda trae origine dalla proposizione di un’azione di responsabilità sociale, ai sensi dell’art. 2476 c.c., nei confronti dell’amministratore unico di una società a responsabilità limitata in liquidazione, per aver violato il divieto di concorrenza ai sensi dell’art. 2390 c.c. Nel caso di specie, la società fondava la propria domanda sul presupposto che l’amministratore unico, in vigenza del rapporto di amministrazione, avesse sottratto alla stessa la propria banca dati, contenente informazioni dettagliate sulla propria clientela.

La decisione

La Corte di Cassazione, in via preliminare, ha ritenuto applicabile il divieto di concorrenza ex art. 2390 c.c. anche alle società a responsabilità limitata, in ragione del particolare rapporto fiduciario intercorrente tra la società e l’amministratore. In particolare, l’art. 2390 c.c. prevede che “gli amministratori non possono […] esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi”. La ratio della norma è da individuarsi nella volontà del legislatore di evitare che durante lo svolgimento della propria attività, l’amministratore si trovi a rivestire una qualità o a svolgere un’attività in contrasto con gli interessi della società che egli amministra. Ad ogni modo, perché un’attività possa qualificarsi come concorrente ai sensi dell’art. 2390 c.c., è necessario che vi sia un complesso di atti compiuti in modo continuativo e sistematico, finalizzati ad uno scopo concorrenziale. Il compimento di un solo atto di concorrenza, pertanto, non integra la fattispecie in esame, ma potrebbe piuttosto configurare un conflitto di interessi, ex art. 2391 c.c., ovvero una violazione del generale dovere di fedeltà.

Alla luce di quanto detto, con riguardo al caso di specie, la Corte di Cassazione non ha ritenuto applicabile l’art. 2390 c.c., in quanto la Corte di Appello di Ancona ha ritenuto provata la sola sottrazione della banca dati della società che, essendo un atto unico, non può integrare la fattispecie del divieto di concorrenza.

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