Il dovere di vigilanza dei sindaci riguarda tutta la gestione sociale

11 Aprile 2024

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 2350 del 24 gennaio 2024, si è pronunciata in materia di responsabilità dei membri del collegio sindacale, ribadendo che il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall'art. 2403 c.c. "non è circoscritto all'operato degli amministratori, ma si estende al regolare svolgimento dell'intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello concorrente dei creditori sociali, né, d'altra parte, riguarda solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori".

La vicenda trae origine da un provvedimento con cui il giudice delegato al fallimento di una S.r.l. ha respinto la domanda di ammissione al passivo avanzata dal sindaco della medesima società fallita per un credito riguardante il compenso dallo stesso maturato in relazione alla propria carica.
Successivamente, il sindaco proponeva opposizione avverso il decreto. Il Tribunale di Como, territorialmente competente, accoglieva l’opposizione e disponeva per l’effetto la corrispondente variazione dello stato passivo del fallimento. Il tribunale rilevava, inter alia, l’infondatezza dell’eccezione di inadempimento con la quale il fallimento aveva dedotto la “carenza di vigilanza” da parte del sindaco opponente con riferimento ad alcune operazioni gestorie compiute dagli organi della S.r.l.
A fronte della soccombenza, il fallimento proponeva dunque ricorso per Cassazione, denunciando inter alia la violazione degli artt. 2477, 2403, 2403-bis, 2404, 2406, 2407 e 2377 c.c.

Pronunciandosi sul ricorso, la Suprema Corte ha ribadito che il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 c.c. si estende oltre un mero e formale controllo sulla documentazione resa disponibile agli stessi dagli amministratori, essendo conferito ai componenti del relativo collegio il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni quando queste possano suscitare perplessità per le modalità di scelta o di esecuzione.

Sul punto, la Cassazione ha osservato che il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 c.c. è configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché non è circoscritto all’operato degli amministratori, bensì si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali.
Se è pur vero che il sindaco non risponde automaticamente in termini di inadempimento ai propri doveri per ogni fatto gestorio aziendale non conforme alla legge o allo statuto ovvero ai principi di corretta amministrazione, è tuttavia necessario ai fini del corretto adempimento dei propri obblighi che abbia esercitato l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge.

La Suprema Corte, esaminando i motivi del ricorso, ha chiarito che al fine di escludere l’inadempimento del sindaco non è sufficiente (i) il fatto che il medesimo sia stato tenuto all’oscuro dell’operato degli amministratori, in quanto l’obbligo di vigilanza dello stesso impone ancor prima la ricerca di adeguate informazioni, (ii) né il fatto che lo stesso abbia assunto la carica in un periodo successivo alla realizzazione dei fatti dannosi, qualora il sindaco abbia mantenuto un comportamento inerte senza verificare la situazione e porvi rimedio dal momento della sua nomina.
Nel caso di specie, il Tribunale di Como aveva escluso l’inadempimento dedotto dal fallimento senza valutare se ed in quale misura il sindaco avesse effettivamente vigilato sulle operazioni dedotte e documentate da parte opposta. Pertanto, la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, ha cassato con rinvio il decreto impugnato.

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