Clausola di mero gradimento e diritto di recesso

17 Maggio 2024

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 2660 del 29 gennaio 2024, ha stabilito che il riconoscimento del diritto di recesso ad nutum in capo ai soci di una società a responsabilità limitata sorge solo nel caso in cui lo statuto preveda l’intrasferibilità di fatto delle partecipazioni e non anche per la sola presenza di una clausola statutaria di mero gradimento. Il diritto di recesso in capo al socio, pertanto, sorge unicamente nel momento in cui tale gradimento sia negato.

La vicenda trae origine dall’approvazione di una delibera assembleare di una società a responsabilità limitata con la quale, con il voto favorevole di due soci, rispettivamente titolari del 34% e del 33% del capitale sociale, veniva eliminata dallo statuto la clausola di mero gradimento e di prelazione.

Un terzo socio, titolare del restante 33% del capitale sociale, unico socio a non aver concorso all’approvazione della delibera, adiva il Giudice di primo grado (e, in seguito al rigetto di tutte le sue domande, il Giudice di secondo grado) per vedersi accertato il diritto al rimborso della propria partecipazione a fronte dell’esercizio del recesso. L’attore, infatti, sosteneva di essere titolare di un diritto di recesso ad nutum, ai sensi dell’art. 2469, secondo comma, c.c. derivante esclusivamente dalla presenza nello statuto sociale di una clausola di mero gradimento. In subordine, chiedeva di accertare l’esistenza del suo diritto di recesso in forza dell’applicazione, in via analogica, dell’art. 2437 c.c., secondo il quale l’eliminazione della clausola di mero gradimento e di prelazione farebbe sorgere, anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto di recesso in capo ai soci che non hanno concorso all’approvazione delle delibere aventi ad oggetto la rimozione dei vincoli alla circolazione delle partecipazioni.

In seguito al rigetto delle domande proposte anche in secondo grado, il socio proponeva ricorso innanzi alla Corte di Cassazione.

Con riferimento al primo motivo di ricorso, l’art. 2469 c.c., al secondo comma, stabilisce che “qualora l'atto costitutivo preveda l'intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2473”.

La Corte di Cassazione, rigettando il primo motivo di ricorso, ha statuito che il riconoscimento di un diritto di recesso ad nutum in capo a tutti i soci risulta giustificato solo in presenza di una clausola che prevede l'intrasferibilità assoluta della partecipazione, e non anche in presenza di una clausola di mero gradimento, atteso che in questo caso il socio risulterà prigioniero della società solo se gli organi sociali, i soci o i terzi, a cui spetta la decisione, neghino il gradimento.

Appare, dunque, preferibile un’interpretazione dell'art. 2469, secondo comma, c.c. che riconosca il diritto di recesso ai soci solo nel caso in cui il gradimento mero sia negato, poiché solo in tale circostanza si verifica il rischio di "prigionia" del socio che la norma intende evitare. Se il gradimento non è negato, “il socio non subisce alcuna compromissione alla libertà di trasferire la propria quota, per cui la presenza della clausola rimane per lui un atto privo di valenza lesiva e, in quanto tale, inidoneo a dare luogo a una concreta ed effettiva limitazione alla libertà di cessione delle quote tale da giustificare l'attribuzione del diritto di recesso, ricorrente solo qualora il gradimento dovesse essere negato”.

Con il secondo motivo il ricorrente sosteneva l’applicazione in via analogica dell’art. 2437 c.c. anche alle società a responsabilità limitata nella parte in cui prevede che il diritto recesso spetti ai soci che non hanno concorso all’approvazione delle delibere riguardanti la rimozione di vincoli alla circolazione di titoli azionari.

Anche tale motivo di ricorso è stato ritenuto infondato dalla Suprema Corte, secondo cui “nelle società a responsabilità limitata il diritto di recesso non consegue – come è invece per le società per azioni (salvo il caso di diversa clausola statutaria) – alla introduzione o rimozione dei vincoli alla circolazione delle partecipazioni, mancando una disposizione di contenuto analogo a quella risultante all'art. 2437, secondo comma, cod. civ., né è possibile, applicare tale disposizione normativa alle società a responsabilità limitata in via analogica, difettando il necessario presupposto dell'assenza di una disciplina della situazione in esame”.

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