Presupposti per ritenere abusivo l’utilizzo della clausola “simul stabunt, simul cadent”

24 Aprile 2025

Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di imprese, con la sentenza n. 247 del 14 gennaio 2020, ha chiarito che la decadenza dell’intero consiglio di amministrazione di una società di capitali per effetto delle dimissioni di uno o più dei suoi componenti, in applicazione della clausola statutaria “simul stabunt, simul cadent”, può configurarsi come effetto equivalente alla revoca senza giusta causa del consigliere decaduto ma non dimissionario solo ed esclusivamente se, dal complesso degli atti, possa trarsi la dimostrazione che l’intero procedimento sia finalizzato ad estromettere dall’organo amministrativo il componente non dimissionario.

La vicenda trae origine dal giudizio promosso dal presidente del Consiglio di amministrazione e amministratore delegato di una società consortile a responsabilità limitata nei confronti della società stessa, al fine di ottenere il risarcimento del danno causato dalla decadenza del C.d.A..

In particolare, la maggioranza dei membri del C.d.A. rassegnava le proprie dimissioni, determinando così la decadenza dell’intero organo, per effetto dell’applicazione della clausola “simul stabunt, simul cadent” prevista dall’art. 18 dello statuto della società convenuta. L’assemblea dei soci, preso atto dell’automatica decadenza del C.d.A. in seguito alle dimissioni della maggioranza dei suoi componenti, nominava un nuovo Consiglio composto da soggetti diversi.

Secondo la prospettiva attorea, tale condotta rappresenterebbe un’ipotesi di revoca senza giusta causa dell’amministratore ex art. 2383, comma 3, c.c., con conseguente diritto al risarcimento del danno.

La società convenuta si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto di tutte le domande proposte da parte attrice in quanto infondate in fatto e in diritto.

Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dall’attore.

In particolare, il Giudice di prime cure ha precisato che le dimissioni degli amministratori, disciplinate dall’art. 2385 c.c., costituiscono atti connotati da ampia discrezionalità in quanto non è richiesta la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo.

Tuttavia, la clausola “simul stabunt, simul cadent” può prestarsi ad un uso strumentale e, per questo motivo, è riconosciuto agli amministratori non dimissionari decaduti il diritto al risarcimento del danno, quando sia dimostrato che le dimissioni che hanno determinato l’effetto decadenziale siano state rese abusivamente, ossia per scopi diversi da quelli per i quali è riconosciuto il diritto a rinunciare alla carica, o strumentalmente, vale a dire per escludere l’amministratore sgradito, eludendo così l’obbligo risarcitorio connesso alla revoca senza giusta causa.

Al contrario, se le facoltà di cui alla clausola in discussione sono state esercitate correttamente, tale esercizio non fa sorgere alcun diritto a favore dell’amministratore decaduto, il quale, accettando l’iniziale conferimento dell’incarico, aderisce implicitamente alle clausole dello statuto sociale che regolano le condizioni di nomina e permanenza degli organi sociali ed i relativi poteri.

Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che parte attrice abbia omesso di allegare elementi tali da provare la strumentalità delle dimissioni rese dalla maggioranza dei consiglieri, non fornendo al riguardo pressoché nessuna deduzione rilevante con riferimento al tema essenziale dell’intento di conseguire esclusivamente l’estromissione del consigliere in tesi non gradito.

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